Nel Febbraio 2020, una colonna di mezzi militari trasportava i feretri delle vittime del COVID-19 fuori dal cimitero di Bergamo, siccome la regione Lombardia non era in grado di gestire l’alto numero di morti a causa della pandemia. Medici ed infermieri descrivevano la scena come un zona di conflitto: i pazienti si accalcavano negli ospedali pubblici, i lavoratori della salute erano in prima linea spesso privi delle protezioni adeguate, ed i funerali non potevano celebrarsi. Un anno dopo, il case fatality rate (CFR) in Lombardia era il più alto in Italia (5.7%), più del doppio della media nazionale (2.4%) e quasi il doppio della vicina regione del Veneto (3.0%).
Come si spiega che la Lombardia, tra le regioni più ricche d’Italia e del mondo, si sia rivelata talmente impreparata nella risposta alla pandemia, relativamente ad altre regioni e paesi? Ci sono sicuramente più cause, ma il peso di alcuni fattori strutturali sta gradualmente iniziando ad emergere.
Prima di tutto, la Lombardia ha prevalentemente trattato i pazienti acuti nei grandi ospedali, trascurando tamponi e tracciamento epidemiologico, vale a dire le più importanti strategie epidemiologiche per rispondere alla pandemia. Nel luglio 2020, solamente 5.5 tamponi ogni caso positivo sono stati attivati in Lombardia, contro i 21.6 in Veneto. Allo stesso modo, solo il 43.5% dei pazienti infetti da COVID-19 è stato trattato in isolamento domiciliare, a casa, al contrario del 74.9% in Veneto, al primo aprile 2020.
In secondo luogo, la Lombardia ha dovuto rinegoziare i contratti con i privati, che rappresentano il 40% degli attori sanitari nella regione, perdendo settimane quando anche le ore erano cruciali.
I leader mondiali sono chiamati a imparare dai fallimenti del mercato sanitario in Lombardia ed altre parti del mondo, invertendo la crescente spinta alla mercificazione della sanità che sta danneggiando il diritto la salute ovunque.
Infine, la Lombardia è stata in grado di attivare solamente 14 posti letto acuti per 100.000 abitanti, al di sotto della media italiana del 15 (il Veneto ne aveva 20 per 100.000). Siccome la Lombardia è tra le regioni più ricche d’Europa, tali carenze strutturali e la gestione caotica della pandemia potrebbero essere collegate alla più alta presenza di attori sanitari privati. Infatti, siccome la terapia intensiva viene considerata come meno remunerativa e più rischiosa, il settore privato sembra essere incentivato a trascurare questo importante trattamento sanitario.
Questi tre fallimenti non derivano solo dalla sfortuna: le difficoltà della Lombardia risultano da precise scelte politiche che hanno innescato un graduale processo di privatizzazione della sanità, ed esemplificano tragicamente come i servizi sanitari basati sugli incentivi di mercato possano fallire nel salvare vite. In un report di recente pubblicazione, l’organizzazione della società civile The Global Initiative for Economic, Social and Cultural Rights ha analizzato come ha esplorato come la privatizzazione della sanità in Lombardia, innescata dalla legge regionale Formigoni del 1997, abbia avuto forti ripercussioni sulla carente risposta alla pandemia, in relazione ad altre regioni. Basandosi sulla retorica della libertà di scelta del paziente, il sistema lombardo ha di fatto depotenziato i settori meno remunerativi, quali cure primarie e prevenzione. Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2018, la Lombardia è una delle regioni italiane con la più bassa densità di medici di base (un medico di famiglia ogni 1413 abitanti, contro una media nazionale di uno ogni 1232) e servizi di prevenzione (1 ogni 1.2 milioni, contro 1 ogni 500.000 in Veneto).
L’Italia riconosce il diritto alla salute non solo come un obiettivo politico, ma anche come un obbligo legale. Sia l’articolo 32 della Costituzione Italiana che l’articolo 12 della Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, di cui l’Italia è parte, impone che il paese e le sue regioni realizzino il diritto alla salute al massimo delle sue possibilità. Chiaramente, la Lombardia non è riuscita a gestire la pandemia in linea con le sue risorse finanziarie disponibili.
Questi obblighi legali non possono essere soddisfatti senza assicurare l'esistenza di un sistema sanitario pubblico di qualità e resiliente, dove le strutture sanitarie sono controllate democraticamente e concentrandosi sulla realizzazione del diritto alla salute, piuttosto che i profitti o altri obiettivi commerciali.
La Lombardia è l’archetipo di un fenomeno globale: in paesi come India e Kenya, dove la privatizzazione della sanità è incrementata negli anni passati, ci sono stati molti casi di fornitori privati che hanno sfruttato la pandemia come un’occasione per la massimizzazione del profitto a scapito della salute pubblica. Per esempio, in India, un ospedale privato è stato recentemente accusato di detenere il corpo di una vittima di COVID-19 siccome la famiglia non era in grado di pagare il conto. A livello globale, gli incentivi di mercato ed i profitti commerciali sono al centro delle resistenze, da parte delle compagnie farmaceutiche, del rendere i loro vaccini maggiormente accessibili, generando disuguaglianze ed inefficienze.
Eppure, nonostante solida evidenza empirica dimostri che i sistemi sanitari basati su incentivi di mercato abbiano fallito nel rispondere alla crisi pandemica, i leader globali che si sono riuniti il mese scorso a Roma per il Global Health Summit nell’ambito del G20 hanno enfatizzato il bisogno di rafforzare le sinergie tra pubblico e privato per la ripresa futura. Rafforzare i sistemi sanitari pubblici, invece, non era neppure sull’agenda. Il summit è culminato nella ‘Roma Declaration’, che invita a rafforzare la cooperazione multilaterale tra il settore pubblico e privato, senza citare l’urgente bisogno di sistemi di sanità pubblici universali di alta qualità per prevenire future crisi nelle prossime pandemie. Allo stesso modo, un report pubblicato da un gruppo di consulenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel Dicembre del 2020 potrebbe incoraggiare la crescita degli attori privati in sanità, come evidenziato da otto organizzazioni della società civile in una recente lettera aperta. Nella lettera aperta si chiede all’OMS di allineare tale report alla normativa internazionale sul diritto alla salute e i diritti umani, nonché al generale impegno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a promuovere sistemi sanitari pubblici di qualità, assicurando che la commercializzazione della sanità non venga incoraggiata in nessun modo diretto o indiretto all’interno delle sue attività. L’enfasi sul coinvolgimento del settore privato in campo sanitario, sempre più ricorrente negli spazi di politica sanitaria globale, rischia di accelerare sempre più la spinta alla privatizzazione della sanità, con conseguenze disastrose per il diritto alla salute.
Non c’è più tempo da perdere. Non possiamo aspettare la prossima pandemia, o la prossima catastrofe: i leader mondiali sono chiamati a imparare dai fallimenti del mercato sanitario in Lombardia ed altre parti del mondo, invertendo la crescente spinta alla mercificazione della sanità che sta danneggiando il diritto la salute ovunque. Dalle ceneri di questa tragedia, possiamo ricostruire un mondo nuovo, basato su sistemi di sanità pubblici volti alla realizzazione dei diritti umani.